Castel del Monte

STORIA DI CASTEL DEL MONTE

Le testimonianze più antiche attestanti la presenza di un primitivo insediamento di origine vestina si trovano sul Colle della Battaglia, a sud dell’abitato, dove sono ancora ben visibili le tracce di tre fossati circolari e concentrici e di altrettante cerchia di mura che proteggevano un villaggio di cui sono stati rintracciati i resti di una grande porta d’accesso ed una piccola pusterla. Distrutto nel 324 a.c. durante la conquista ad opera del Console Bruto Decio Sceva che sottomise i vestini, come riporta Tito Livio nell’VIII libro sulla storia di Roma, venne costruito un nuovo abitato nella sottostante piana di S. Marco dove ancor oggi si scorgono i resti di un piccolo villaggio altomedievale e di una vetusta chiesa dedicata a S. Marco, ricca di epigrafi romane e di elementi architettonici romani e medievali, sede di una badia fino al 1619. Del pagus romano non si conosce il vero nome, ma gli storiografi del paese, a partire dal XIX secolo lo indicano con il nome di “Città delle Tre Corone”, chiaro il riferimento ai tre fossati circolari e concentrici presenti sul colle della Battaglia.

Durante l’invasione longobarda, come molti abitati pianeggianti delle zone limitrofe, anche la “Città delle Tre Corone” venne abbandonata, o forse fu distrutta (non si hanno notizie precise in merito), in ogni caso gli abitanti decisero di incastellarsi edificando, su un impervio colle a nord dell’antico insediamento una rocca o borgo fortificato che dir si voglia denominata Ricetto ovvero ricettacolo di genti fuggiasche, che è la parte più antica di Castel del Monte. Alcuni degli antichi abitanti della “Città delle Tre Corone” non vollero lasciare la piana di S. Marco e fondarono, nei pressi della chiesa il villaggio di Marcianisci, dove tuttavia ebbero una vita alquanto grama e che abbandonarono comunque dopo qualche secolo.

Politicamente, nell’alto medioevo Castel del Monte, come altri territori circostanti, fu soggetto ai monaci Volturnensi, che facevano capo alla grande abbazia benedettina di S. Pietro ad Oratorium, nella piana di Capestrano, passò quindi ai conti di Celano, agli Acquaviva di Atri, ai Piccolomini di Siena, per un brevissimo periodo ad Alessandro Sforza, ad Ottavio Cattaneo dal 1569 ed infine, nel 1579, ai Medici di Toscana. Il paese il cui nome compare per la prima volta in una bolla pontificia di papa Onorio III del 1223 con il nome di Castellum de Monte fece parte dunque del marchesato (principato dal 1584) di Capestrano insieme a Ofena, Villa Santa Lucia, Carrufo e Randino che seguiva le vicende, sotto lo stesso signore, della baronia di Carapelle, che comprendeva oltre a Carapelle Calvisio anche Castelvecchio Calvisio, Calascio e S. Stefano di Sessanio. Questi borghi costituivano lo “Stato di Capestrano” e ivi aveva sede il governatore, nel castello Piccolomini.

Castel del Monte seguì quindi le vicende dello “Stato di Capestrano” fino a quando, nel 1743, con la morte di Anna Maria Luisa de Medici la dinastia si estinse ed il principato di Capestrano ritornò come stato allodiale, unitamente alla baronia di Carapelle, a Carlo III di Borbone. Subito dopo l’unità d’Italia, molti boschi che circondano il paese furono rifugio di bande di briganti che tuttavia tra il 1861 ed il 1865 vennero debellate. Nonostante il relativo benessere raggiunto tra il XVI ed il XVIII secolo, grazie soprattutto alla produzione della lana, dopo l’unità d’Italia Castel del Monte, i cui abitanti erano ancora quasi tutti dediti alla pastorizia transumante ed il patrimonio ovino collettivo del paese superasse i 50.000 capi, si venne a trovare per alcuni decenni in uno stato di isolamento e di arretratezza, superato solo tra gli ultimi anni dell’Ottocento ed i primi del novecento, anche grazie all’opera del sindaco Maurizio Sulli che riuscì in pochi anni a far realizzare molte infrastrutture (come si dice oggi) di primaria importanza, che contribuirono a ridare al paese slancio e vitalità.

Dopo la seconda guerra mondiale però, con la crisi della pastorizia causata dal crollo della produzione della lana italiana, sostituita da lane straniere, più competitive sul mercato, o da fibre sintetiche, una massiccia ondata di emigrazione, soprattutto verso la Francia ed il Belgio prima, e le grandi realtà industriali del nord Italia poi, ha visto il paese perdere quasi i nove decimi della sua popolazione, fenomeno questo purtroppo comune a tutti i comuni limitrofi ed a quasi tutte le realtà della montagna aquilana.